La musica, per Aleksej, è la sostanza della vita stessa, fin dal giorno in cui sua madre ha guidato le sue piccole mani sulla tastiera di un pianoforte. Il giovane bambino prodigio avrà una vita complicata che lo porterà dalla Russia alla Francia e poi in tutto il mondo, trasformandosi in un pianista inquieto, capace di vincere premi e concorsi ma non di entrare in sintonia con il ritmo dell’esistenza, vivendo in un costante e disperato controtempo. Una sera, nel corso dell’ennesima tournée, il destino di Aleksej deraglia: abbandona il palcoscenico per cercare un nuovo modo di vivere la sua musica, nelle strade, parlando al cuore delle persone che si fermano ad ascoltarlo per regalarsi un momento di felicità. Comincia così, per lui, un viaggio tra le piazze e le vie del nord Italia che sarà un vero e proprio cammino compiuto dentro la sua anima. Aleksej conoscerà la vergogna, l’estasi, la felicità, il dolore e riuscirà a “diventare musica”, scoprendo l’amore e gettando luce sul suo misterioso e infelice passato.
Paolo Zanarella, conosciuto come “Il pianista fuori posto”, è nato a Padova nel 1968. Si avvicina alla musica come autodidatta, oggi è un compositore che ama esprimersi principalmente attraverso l’improvvisazione. La sua musica è un’appassionata ricerca di forme armoniche nelle quali l’ascolto è immediato e travolgente. Dal 2009 si esibisce per l’Italia, dalle città alle montagne fino al mare, con il suo pianoforte a mezza coda. Con questo romanzo ha dato una forma narrativa alla sua rivoluzionaria visione della musica: non basta vivere di musica. Bisogna diventare musica!
Il volume Italia Sessanta. Arte, Moda e Design. Dal Boom al Pop, catalogo della mostra omonima di Palazzo Attems Petzenstein (Gorizia) – aperta al pubblico fino al 27 ottobre 2024 – è un viaggio dentro quello che è uno dei grandi miti della storia recente. Un decennio effervescente e controverso quello dei “mitici” Anni Sessanta. Tempo di complessi mutamenti sociali e politici, certo, ma anche di originali spinte creative e dell’imporsi di nuovi approcci e nuove visioni. A mutare è il modo di vivere, di abitare, lavorare, vestire, amare e gestire il tempo libero. Sono gli anni in cui ogni sogno sembra poter diventare realtà, a partire dall’uomo a passeggio sulla Luna. Trionfano le materie plastiche che consentono ulteriore libertà creativa, del design, delle più incredibili sperimentazioni e di oggetti-icona quali ad esempio il mangiadischi.
La mostra, inappuntabile nei contenuti e nell’analisi storico critica, si annuncia leggera, divertente, coinvolgente.
Tra i tanti costrutti umani il confine figura senz’altro tra quelli più impattanti nella vita delle comunità e sulla demarcazione
della geografia terrestre. Quello tra Stati Uniti e Messico è senz’altro paradigmatico, e perciò ampiamente documentato,
oltre che esplorato dal cinema e dalla fotografia. Il volume Dead End di Nicola Moscelli prova ad osservarlo diversamente. Come? Intersecando la vista stradale, arbitraria della spazialità “Pegman” con altrettante direttrici materiali (storica e letteraria ad esempio) che ne espandono la definizione. Il confine non è solo un tratteggio superficiale o amministrativo bensì tessuto vivo innervato di relazioni che ne aumentano la trama e la comprensione. Il libro stesso è disegnato per accogliere tale reciprocità e il lettore può così attraversare a piacimento il confine. Dead End, vicolo cieco, reca il titolo. Se ne contano a migliaia di queste “vie” che terminano bruscamente. Moscelli ne ha mappate moltissime, in comune hanno il retrogusto di una storia interrotta, di una magia sospesa, di un senso che si perde nel nulla. L’autore
restituisce loro una prospettiva con incursioni testuali, citazioni e approfondimenti. Completano la visione le letture di Maceo Montoya, Miriam Ticktin, e Steve Bisson. L’indagine apre ad un metodo che si appropria di reperti visuali e scorie computazionali per rilanciare il confine come dispositivo interpretativo, concettuale e ottico. Benvenuta alla neo archeologia “scopica” che impiega le immagini come fossili della memoria sociale.
Nicola Moscelli (Bari, 1980) è un ingegnere, narratore e documentarista, utilizza la fotografia e le arti visive per stimolare attenzione, comprensione, e dibattito sull’ambiente e il modo in cui l’umanità si relaziona o interviene su esso. Attualmente vive a Den Haag, Paesi Bassi.
Quarant’anni di ricerca tra “estetica e funzione” si dipanano tra le pagine di questo volume che descrive il mondo del design di Jacques Toussaint. La funzione che caratterizza la destinazione dei prodotti di arredo richiede un’attenzione sempre maggiore al loro valore estetico e Toussaint sviluppa nella sua attività un’azione sempre più integrata tra design e arte, due aspetti della creatività tra i quali esiste una naturale fluidità di pensiero.
Si indaga come, pur rimanendo sull’obiettivo di sublimare visione e pensiero, il creativo abbia saputo dare razionalità agli oggetti del vivere e dell’abitare, con una progettazione di grande rigore compositivo-costruttivo, che coniuga una prima formazione francese con un approccio e un’esperienza italiana ad una evidente apertura internazionale.
Jacques Toussaint nasce a Parigi nel 1947. Inizia la sua attività in Italia nel 1971 dopo aver studiato a Parigi presso l’École Nationale Supérieure des Beaux Arts. Partecipa a numerose mostre in gallerie ed istituzioni italiane ed estere. Sue opere sono presenti nelle collezioni permanenti del Denver Art Museum, del Die Neue Sammlung di Monaco di Baviera, del Kunstgewerbemuseum di Berlino, del Museo Nazionale di Poznan in Polonia, della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Forti a Verona e del CAMeC di La Spezia.
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Gianpietro Benedetti ripercorre nelle pagine di questo volume la sua lunga, fortunata e non di rado sorprendente storia, una straordinaria parabola professionale e umana che l’ha portato a guidare la Danieli, azienda leader a livello mondiale nella produzione di macchine per la lavorazione dell’acciaio.
Nelle pagine del libro le memorie personali, i racconti dei viaggi di lavoro in ogni Paese del mondo, la descrizione di tanti collaboratori, colleghi e amici che hanno accompagnato l’autore nel suo percorso professionale si alternano alle descrizioni delle principali evoluzioni tecnologiche che hanno rivoluzionato il mondo della siderurgia dagli anni Sessanta a oggi.
Raccontando le sfide di una vita trascorsa all’insegna del lavoro, della curiosità e della passione per la siderurgia, Gianpietro Benedetti rivive le tappe essenziali della sua avventura umana, soffermandosi anche sulla sua passione per l’arte, la bellezza e il “saper fare”, vera radice di ogni progresso e ogni successo.
Nel centenario della morte di Giacomo Matteotti, il catalogo della mostra omonima “Giacomo Matteotti. Una storia di tutti” è occasione privilegiata per rileggere, attraverso le fonti documentarie, una vicenda che ancor oggi dopo un secolo di storia ci ripropone il racconto di un uomo che sarebbe diventato un martire del socialismo e della libertà di pensiero nell’oscura età del fascismo, di esperienza politica vissuta tra la sua gente impegnandosi per la dignità dei lavoratori uniti nelle leghe e nelle cooperative. Con l’impegno e il finanziamento del Ministero della Cultura, queste importantissime fonti – provenienti per lo più dall’Archivio di Stato di Rovigo, – sono state riordinate, inventariate e infine restaurate ovvero restituite alla loro piena intrinseca funzionalità anche per l’attuale finalità espositiva.
Si farebbe un torto alla straordinaria figura di questo adamantino politico se non si cogliesse l’occasione di tali celebrazioni per approfondire il suo legame con il territorio andando nel piccolo borgo di Fratta Polesine a scoprire, o riscoprire, la sua casa (lasciata in eredità all’Accademia dei Concordi e gestita dal Comune) diventata pubblica come museo e, insieme, la tomba di famiglia, dove le sue spoglie offese dalla brutalità dell’assassinio hanno trovato il conforto finale. Il progetto di valorizzazione è finanziato dalla Regione del Veneto.
La mostra (Rovigo, Palazzo Roncale) è aperta fino al 7 luglio 2024.
Osservare il Cadore dall’alto dei campanili dei vari paesi sparsi a macchia di leopardo lungo i declivi delle Dolomiti, offre una nuova, epifanica prospettiva. Questo libro fotografico è un viaggio e insieme una riscoperta. Ogni singolo scatto propone una riflessione, una visione dall’alto delle varie comunità di montagna portando lo spettatore a indagare sulla modellazione del paesaggio e sulla vitalità delle varie comunità. Vito Vecellio sembra dotato di un potere, quello di valorizzare ed entrare in simbiosi con la luce, che differente si esprime in ogni paese. A questa capacità si unisce la caparbietà. Perché per arrivare a certi scatti occorre tempo, abnegazione, anni che ha dedicato allo studio. Il sacrificio del suo impegno per perseguire un progetto artistico e legato al simbolo arcaico del campanile appare oggi come qualcosa di rivoluzionario. A sostenere la riflessione una breve sintesi storica curata da Matteo Da Deppo che ha raccolto una serie di aneddoti, racconti e avvenimenti accaduti sulle varie torri campanarie che danno enfasi e supporto critico al libro. Un consiglio a chi guarderà questo libro: non è consentita la fretta.
10 itinerari per riscoprire 117 campanili a Venezia. Qualcosa che abbiamo sempre visto nel panorama veneziano ma che spesso lasciamo alle nostre spalle senza soffermarci sulla loro storia, sulla struttura e sulla posizione, ignorando le curiosità che li accompagnano. Nella produzione libraria nella storia ci sono moltissimi libri sulle chiese di Venezia, ma solamente quattro di questi parlano espressamente dei campanili. Questo libro è un compendio di tutte le notizie disponibili oggigiorno su questi storici manufatti, una minuziosa raccolta di tutti i dati dispersi fra internet, biblioteche e saggi, che il lettore può ritrovare in un unico volume e andare a sfruttare sul campo.
Un lavoro, questo, che non è solamente un utile strumento di conoscenza, ma che ha anche, inevitabilmente, il valore dell’esperienza personale, quale cronaca di una riappropriazione. In esso traspare una passione per la percezione dello spazio di Venezia, che genera emozioni da trasmettere e condividere.
La bicicletta. È difficile pensare a un oggetto che rappresenti meglio il Veneto e la sua prodigiosa trasformazione nel corso degli ultimi centoventicinque anni. È al contempo uno strumento necessario per il rapido sviluppo economico, in quanto insostituibile primo mezzo di celere trasporto da casa al luogo di lavoro e viceversa, nonché fulcro esso stesso dei processi produttivi, come è dimostrato dallo straordinario sviluppo del settore ciclistico nell’industria veneta.
Un legame profondo, trasferito di generazione in generazione, che ha reso possibile la preminenza mondiale delle nostre imprese nel settore della bicicletta e dei suoi componenti. Proprio in questo senso nessun altro oggetto rappresenta il tangibile legame tra il passato e il presente di questa regione.
Questo libro cerca di riconoscere alla bicicletta il ruolo che le spetta nei molteplici aspetti dell’evoluzione del Veneto: culturale, imprenditoriale e, in ultima analisi, sociologica.
Nell’arco di ottant’anni di fotografia, Elio Ciol ha contemplato la natura ed ha osservato – con partecipazione profonda – la gente alle prese con le mille sfumature della quotidianità. Ma si è anche posto in dialogo con l’arte e gli artisti. Ne è sortita una lunga esplorazione del mondo della pittura e della scultura, spesso in rapporto agli spazi architettonici, che ha permesso a Ciol di costruire un imponente archivio, ben noto per vastità e qualità delle riproduzioni. In quelle fotografie, però, c’è qualcosa di più della grande perizia tecnica. Ciol ha saputo spingersi fra le pieghe dei panneggi, “entrare” nei racconti scolpiti o dipinti e muovere lo sguardo intorno, cogliendo la disposizione dei personaggi e i loro giochi di relazione come se ne facesse egli stesso parte, come se si trattasse di un tessuto vivo da restituire a una sonorità perduta.
È per questo che le sue fotografie paiono aver diritto a inserirsi nella medesima categoria critica delle opere alle quali si riferiscono, espressione di un’arte che riflette visivamente su se stessa.