Territorio d’antichi insediamenti umani, posto nei pressi dei fiumi Vallio e Meolo (in antico, chiamato Pero) e non molto lontano dal corso del Piave, Rovarè richiama nel suo stesso nome l’esistenza di antiche estensioni boschive di roveri, in gran parte possedute sin dalla metà del X secolo dall’abbazia benedettina di S. Maria di Pero (attuale Monastier), che qui esercitò per secoli la sua giurisdizione ecclesiale.
Antiche leggende collegano la storia di questi luoghi alle origini cristiane di Treviso. Le carte rivelano una sorprendente vitalità comunitaria, intessuta di rapporti tra i monaci, i parroci, i signori locali che qui costruirono cinque grandi ville e soprattutto le famiglie contadine del posto. La vita devozionale organizzata nelle confraternite costituiva la più rilevante forma di coesione comunitaria, capace di formare e far accrescere l’identità collettiva attorno all’organizzazione ecclesiale, anche grazie alla dedizione di grandi personalità di parroci locali. Le trasformazioni avvenute nel XX secolo, con il nuovo protagonismo dei ceti popolari, con i grandi avvenimenti quali furono le due drammatiche guerre mondiali, hanno visto il paese di Rovarè dotarsi sempre più di utili servizi collettivi, continuando così a dare vitalità a quello spirito di collaborazione comunitaria che ha contraddistinto l’animus dei Rovaresi anche nei secoli precedenti.
Ivano Sartor (Biancade, 1953), storico, socio ordinariodell’Ateneo di Treviso e dell’Istituto per la Storia delRisorgimento, dal 2003 al 2020 ha avviato e diretto gliArchivi Contemporanei di Storia Politica. Ha pubblicatopiù di cento titoli, dedicati soprattutto alla storia delleIstituzioni e delle comunità trevigiane e veneziane.
Carlo Scarpa (1906-1978) e Sekiya Masaaki (1942- 2002): l’opera dell’architetto italiano emerge e si mescola al variegato mondo del fotografo giapponese, fatto di architettura ma anche di altre attività, come la promozione di talenti fotografici. È il caso di Hattori Aiko, autrice di un vasto reportage nella Tokyo degli anni ’80, presentato nel libro in un’accurata selezione e con un testo introduttivo.
Il libro presenta inoltre sezioni fotografiche dedicate ai lavori condotti da Sekiya ad Angkor, in Cambogia; a Vienna, tra gli edifici di Otto Wagner, e in Italia per l’ultimo grande lavoro nel quale si era cimentato prima della morte, rimasto incompiuto: la ripresa fotografica dell’opera di Carlo Scarpa, che qui viene presentata per la prima volta in un’ampia selezione. A partire dalle fotografie di Sekiya, una serie di scritti ripercorrono lo spazio e i temi dell’architettura scarpiana, soprattutto della Tomba Brion, opera centrale sulla quale lo stesso Sekiya focalizzò la sua attenzione. Il lavoro d’archivio ha riportato alla luce non solo le fotografie scattate nel corso degli anni, ma anche il materiale di preparazione, le prove e le correzioni fatte, stampe e disegni che hanno permesso d’individuare nuovi e più profondi legami tra Sekiya e la famiglia Scarpa. Intrecci ripetuti, quindi, legano la vita e l’opera di Carlo e Tobia Scarpa a quelle di Sekiya, il fotografo del lontano Oriente.
Il libro, una co-edizione Fondazione Benetton Studi Ricerche–Antiga, accompagna e amplia i contenuti della mostra che con il medesimo titolo è aperta dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche nella sua sede di Ca’ Scarpa, a Treviso, dal 15 aprile al 16 luglio 2023.
A 30 anni dall’ultima grande mostra trevigiana e a 75 dalla prima, il Museo “Luigi Bailo” di Treviso, con la curatela di Fabrizio Malachin e Nico Stringa, propone una nuova retrospettiva articolata in cinque sezioni su Arturo Martini (Treviso 1889 – Milano 1947), dal titolo Arturo Martini. I capolavori: una mostra mai tentata prima, con opere – per dirla con le parole di Martini – che “pesano tonnellate e sembrano leggere come una piuma”.
Il volume omonimo è una imperdibile occasione per percorrere tutte le fasi della produzione artistica dello scultore trevigiano e per gli studiosi per formulare il nuovo punto sugli studi martiniani, evidenziando il ruolo e la modernità di Martini nella scultura europea del Novecento. 280 opere dello scultore, provenienti da collezioni pubbliche e private, dal Piemonte alla Liguria, da Roma a Lugano. Tra esse i più importanti Musei di arte moderna, per citarne alcuni Ca’ Pesaro, Galleria Nazionale di Roma e di Bologna, Galleria del Novecento di Firenze, fino al Museo Martini di Vado Ligure e Savona.
Il volume Virgilio Milani e l’arte del ‘900 in Polesine è il catalogo della mostra omonima aperta dal 25 marzo al 19 giugno 2023 presso Palazzo Roncale di Rovigo: un tributo al più importante scultore rodigino del Novecento. Un’occasione per conoscere un artista che ha vissuto i cambiamenti e le tensioni di quasi un secolo d’arte e, pur rimanendo entro i confini della “sua” Rovigo, ha saputo interpretare il nuovo che si andava sviluppando nel mondo internazionale dell’arte in suo personalissimo sentire.
La mostra-libro indaga l’opera dello scultore rodigino, inquadrandola nelle vicende artistiche del suo tempo in Polesine. Con Milani – la cui figura funge da fil rouge nell’esplorazione dell’arte del “secolo breve” in Polesine – sono raccontati altri artisti illustri, come Mario Cavaglieri, Leone Minassian, Edoardo Chendi, fino ad arrivare a Paolo Gioli, che di Milani è considerato l’erede.
Virgilio Milani (1888-1977) potrebbe essere definito come un “gigante schivo”. Gigante perché nell’ambito della sua arte, la scultura, fu certamente un grande. Schivo, nel senso di non protagonista, perché, per carattere e scelte personali, si mantenne sempre fuori dall’agone nazionale e internazionale dell’arte, scegliendo di non uscire dal suo Polesine.
Mostra a Palazzo Roncale (Rovigo) aperta al pubblico dal 25 marzo al 19 giugno 2023
Questo libro è dedicato a donne influenti, protagoniste di storie non comuni, che dalle Alpi ai nuraghi sardi meritano memoria in un luogo pubblico da intitolare a loro: una strada, una piazza, un parco, una scuola. In Italia solo sei su cento strade, secondo l’ultimo censimento dell’Istat, sono dedicate a figure femminili, spesso tratte dal mito più che dalla storia. È un messaggio diretto agli amministratori delle città italiane e ai componenti delle commissioni toponomastiche perché è ora di scoprire, conoscere, valorizzare e “vedere con uno sguardo nuovo” alcune delle tante figure femminili che, in epoche diverse e con ruoli diversi, hanno influito e contribuito con le loro idee, il loro talento e il loro impegno alla crescita culturale e sociale della nostra Italia. La storia sono anche loro.
Il libro, per ogni figura femminile, rivela vita per vita, regione per regione l’azione di donne non comuni e quindi diventa anche una modalità in grado di coinvolgere tutti e tutte, ragazzi e adulti, in un percorso di condivisione per capire cosa le donne hanno saputo fare, spesso in maniera invisibile o mai raccontata. Sono storie di personalità che hanno contribuito a rivoluzionare un credo o a innovare il mondo con una visione fuori dal coro. Sono storie capaci di infondere coraggio e ispirare il genere femminile (e non solo).
In un’antica chiesa di Castelfranco Veneto è terminato qualche anno fa il secolare e, in parte sconosciuto, viaggio in città di una grandiosa pala cinquecentesca del pittore Paolo Piazza (Castelfranco Veneto 1557 circa – Venezia 1641). Da quella chiesa un altro viaggio è iniziato tra archivi, conventi e musei alla riscoperta della figura e dell’opera del pittore, nato a Castelfranco e presto trasferitosi a Venezia.
Paolo Spolaore ricostruisce in dettaglio gli spostamenti del dipinto tra chiese e conventi soppressi o demoliti e contese tra enti cittadini. Una ricerca che illumina anche la scena del patrimonio artistico della città e dei suoi radicali mutamenti nei secoli. Giorgio Tagliaferro getta nuova luce su Paolo Piazza, alias Fra Cosmo da Castelfranco. Non un cappuccino pittore, che operava solo a servizio del suo Ordine, ma un pittore veneziano di buona scuola, diventato poi cappuccino, che operò in molte corti italiane ed europee. Paolo Asolan descrive e illustra con profondità e maestria gli aspetti simbolico devozionali del dipinto e più in generale i criteri di lettura delle opere d’arte a carattere religioso.
Un testo originale che apre finestre e suggerisce ambiti di ricerca in cui integrare le varie dimensioni del sapere e diffondere conoscenze sul grande patrimonio di storia e di arte della cosiddetta Italia minore.
Nel bicentenario della morte del grande scultore veneto Antonio Canova, molte sono state le iniziative organizzate in Italia per ricordare colui che, senza dubbio, è da annoverarsi quale uno dei massimi artisti italiani di tutti i tempi, protagonista della storia culturale e politica a cavallo tra XVIII e XIX secolo, figura che ha goduto di un culto della personalità difficile da eguagliare.
Il volume “Mappe canoviane” raccoglie le riflessioni e le ricerche sviluppate dalla Soprintendenza ABAP per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso sotto la direzione del noto storico dell’arte Fabrizio Magani. Il libro – prendendo spunto dalle tante guide ottocentesche a tema – è un itinerario critico su Antonio Canova in Veneto, invitando il lettore a visualizzare una vera e propria mappa dei suoi luoghi, le sue architetture e le sue opere. Il percorso proposto vuole essere una sorta di racconto declinato sul territorio, i cui capitoli rimandano ai temi approfonditi e prevedono anche qualche “fuoristrada”. I contributi dei vari autori ripercorrono ed esplicitano le diverse mappe fisiche e mentali rappresentate dai luoghi e dai nessi semantici correlati alla produzione e all’eredità del grande artista neoclassico.
Nel pieno della pandemia, nel maggio 2020, è nata l’idea di tentare un percorso di indagine dell’inedita vicenda da cui la società contemporanea si era trovata d’improvviso travolta. La scelta? Volgersi al passato, cercarvi elementi e chiavi di lettura utili a decifrare, appunto, un contemporaneo del tutto inedito. Il curatore del progetto, Matteo Melchiorre, aggirandosi tra gli scaffali silenziosi di un Archivio Storico di straordinaria ricchezza, quello del Comune di Castelfranco Veneto, grazie a un paziente lavoro di ricerca ha individuato centinaia di documenti. Provengono per lo più dai secoli XVI e XVII e illuminano con potenti fasci di luce gli anni (1575-77, 1630-31) in cui la città di Castelfranco Veneto, come tante altre in Italia e in Europa, fu colpita da violentissime epidemie di peste.
Il progetto Contàgio. Le carte della peste e della pandemia è nato così. Prima una mostra, allestita presso il Museo Casa Giorgione di Castelfranco Veneto, che ha riscosso, con il suo studiatissimo mix di antichi documenti archivistici, opere pittoriche, oggetti della cultura materiale, fotografia contemporanea e oggetti del nostro quotidiano, uno straordinario successo di critica. Poi, dopo la mostra, questo libro che di fatto, con il suo originale impianto grafico, racchiude, mettendolo in mano al lettore, lo stesso progetto di ricerca. Un’esperienza in cui dati testuali e dati visivi, dialogando tra loro, svelano, sul punto delle grandi epidemie, delle strabilianti e del tutto inattese connessioni tra passato e presente.
Il mito dell’Italian Style prese corpo negli anni Cinquanta quando l’Italia, reduce dalle ferite della guerra, scelse di aggredire il futuro. Il volume racconta quel momento storico alla luce di due specifiche componenti: la moda e il design, comprendendo in quest’ultimo anche la tradizione delle arti applicate, punto di forza della produzione italiana, evoluzione della tradizione artigianale delle epoche passate. Si dipana, quindi, un itinerario tra le eccellenze più significative del periodo: dai mobili alle lampade, dalle ceramiche ai vetri, dai metalli alle stoffe d’arredamento.
Gli anni Cinquanta rappresentano anche per la moda un decennio di fondamentale importanza: con la prima sfilata fiorentina del febbraio 1951 nasce ufficialmente la moda italiana. Il volume dà conto di questa emozionante traiettoria: i più celebri modelli del periodo, abiti e accessori, firmati da talenti creativi destinati a grandi successi. Nella promozione della nascente moda italiana sul piano internazionale si miscelano sapientemente ingredienti unici, come il patrimonio culturale italiano, un’artigianalità di altissimo livello e la vetrina offerta dalle produzioni cinematografiche, dal momento che le migliori firme italiane annoverano tra la propria clientela le stelle del cinema hollywoodiano. Nasce così l’Italian Style, all’insegna dell’entusiasmo e della gioia ritrovata.
Mostra aperta dal 21 marzo al 27 agosto 2023 presso Palazzo Attems Petzenstein, Gorizia.
Il segreto del pittore Giovanni Boldini (Ferrara, 31 dicembre 1842 – Parigi, 11 gennaio 1931) è un’alchimia ammaliante di istinto e ragionamento, di classicità e modernità, di pudore e sfrontatezza, di finito e non finito. Lo smisurato talento del maestro italiano della Belle Époque viene indagato in questo volume da due esperti tra i maggiori dediti allo studio dei materiali e delle tecniche pittoriche, aprendo una prospettiva inedita grazie allo studio sistematico di decine di opere di diverse collezioni e vari periodi. Costruito intorno a due saggi portanti che estrapolano dalla ampia banca dati raccolta opportuni percorsi di lettura, il libro articola nella seconda parte un focus dedicato ad alcune opere chiave, con una selezione di immagini diagnostiche significative.
Completa il volume un saggio sul restauro di alcuni dipinti boldiniani a cura di Francesca Lo Russo e Arianna Splendore, mentre la presentazione è a cura di Francesca Dini, tra le massime specialiste del pittore e co-autrice del Catalogo Ragionato. Di Boldini la celebre ballerina Cléo de Mérode aveva scritto «Ho posato per molti pittori ma non avevo mai visto nessuno lavorare come Boldini. Mi guardava un attimo, poi, volgendosi verso la tela, vi apponeva un tocco di colore: ogni sguardo corrispondeva a un colpo di pennello. Senza smettere di parlare, l’artista dipingeva, dipingeva in continuazione, con una vivacità e una precisione incredibile, e la tela si copriva velocemente di colore. Mai una correzione, mai un ripensamento!».