La storia di Vicenza si legge nei fiumi

12.05.2012

Antonio Di Lorenzo sceglie un modo originale per attraversare il passato della città, utilizza i corsi d’acqua come fossero una storia del tempo trasparente. Il giornalista-scrittore ha scritto il libro "La memoria delle acque vicentine"

di Alessandro Scandale

Se l’acqua col suo impetuoso passaggio un anno e mezzo fa lasciò segni profondi a Vicenza e nelle immediate periferie, può essere utile conservarne una qualche memoria, non tanto per rievocare i fantasmi del passato ma per comprenderne meglio la storia e il rapporto dell’elemento liquido con l’uomo, le cose e le usanze. Antonio Di Lorenzo, giornalista e scrittore vicentino, ha pubblicato di recente per l’editore trevigiano Terra Ferma "La memoria delle acque vicentine – Storie, personaggi, curiosità e misteri dei fiumi e torrenti lungo i secoli", un libro di un centinaio di pagine ricche di immagini di archivio e di mappe antiche, in gran parte fornite dalla Biblioteca Bertoliana, realizzato in collaborazione con l’ente municipalizzato Acque Vicentine che gestisce il servizio idrico integrato per Vicenza e altri trenta comuni della provincia, servendo 285.000 abitanti.

La tesi del libro è che nella storia di una città sia scritta la sua identità e spesso il suo destino. «La storia di Vicenza – scrive Di Lorenzo – si legge nei suoi fiumi e torrenti in modo così limpido che i corsi d’acqua possono essere paragonati a una macchina del tempo trasparente. I vari episodi rappresentano gli anelli di una catena millenaria: svelano sorprese e non raccontano ancora tutti i segreti che custodiscono. Una scarna notizia in un testo di secoli fa apre uno spiraglio di curiosità: chi giocava a battaglia navale dal vivo a Vicenza? Se gli antichi romani, nell’arena, avevano inventato gli spettacoli dei gladiatori, a Vicenza c’era chi, in modo meno cruento, secoli dopo li imitava. Quando l’Astico formava il cosiddetto lago Pusterla, ampio da Vicenza a Povolaro, i nobili organizzavano perfino spettacoli di combattimenti navali. Perché mille anni fa era l’Astico che scorreva sotto ponte degli Angeli, non il Bacchiglione. Ma era un torrente, e le sue piene erano devastanti. La soluzione migliore la trovò la Serenissima Repubblica di Venezia, che cinque secoli fa deviò l’Astico a Montecchio Precalcino. Così il Bacchiglione prese il suo posto».

E poi cos’è accaduto negli ultimi cinque secoli? «Non siamo stati capaci di risolvere una volta per tutte il dramma inondazioni: in 130 anni quattro volte hanno colpito il Vicentino. Spesso a farne le spese maggiori è proprio il capoluogo. Fiumi famosi, quelli vicentini. Il Retrone era celebre nell’impero romano per le meravigliose anguille che si pescavano. Dal canto suo Dante cita il Bacchiglione nella sua Commedia. Quel fiume lo conosceva bene anche il suo ospite veronese, Cangrande della Scala: Vicenza era il teatro delle guerre con i padovani, che erano combattute anche deviando il corso del fiume per invadere il campo e l’esercito avversario».

L’acqua a Vicenza significava anche forza, quella che muoveva centinaia di mulini in città. Solo per la lavorazione della seta nel Cinquecento ce n’erano cento di attivi. «I vicentini a quel tempo, con i loro panni di seta, le stoffe colorate, le compagnie di mercanti, erano davvero i Renzo Rosso d’Europa. Ma l’acqua era anche fatica fino a pochi decenni fa: per le lavandaie, chine sulla riva a lavare, oppure per chi doveva andare a riempire i secchi alla fontana pubblica. Gli acquedotti e l’acqua corrente in casa non sono stati sempre scontati. Il fiume era anche divertimento: per i giovani, soprattutto, quando ancora si poteva fare il bagno in pieno centro. Le acque vicentine raccontano di personaggi storici, di vita economica, costume, perfino di religione. Sono quattro volte lo specchio di Vicenza. Dobbiamo imparare a rispettare di più l’acqua, di cui spesso consideriamo poco il valore perché è la nostra vita».

Ma i fiumi e i torrenti che nei secoli passati portavano cibo e merci da Venezia, trasmettevano anche cultura e idee. «Non tutti sanno che un tempo a Vicenza c’era un porto, situato prima alle Barche e poi in borgo Berga, dove si scaricava lo stoccafisso che arrivava dalle isole nordiche Lofoten ma anche quei libri che l’Inquisizione vietava e che la tollerante Serenissima pubblicava. I corsi d’acqua nel Vicentino, secondo un’ipotesi, sono stati il mezzo per diffondere anche la conoscenza della riforma di Lutero dal Nord Europa. Un’altra ipotesi riallaccia la nascita del protestantesimo nel Vicentino, più esattamente calvinista, ai rapporti commerciali tra Vicenza, ricca di produttori di panni, come la famiglia Leoni Montanari, e Lione, capitale riconosciuta in Europa del settore tessile, nonché città fortemente calvinista». Un altro curioso collegamento tra Vicenza e Lione è testimoniato, due secoli dopo, dal telaio tessile del francese Joseph Marie Jacquard, nato a Lione alla metà del XVIII secolo, strumento di lavoro che s’è presto diffuso nel Vicentino, specie a Schio, città che ha anche dedicato un bellissimo giardino all’inventore francese (e che tra l’altro, proprio in questo periodo è aperto ogni prima domenica del mese fino a ottobre dalle 15.30 alle 19, con visita guidata gratuita al giardino e al percorso di archeologia industriale alle 17, ndr).

Il film della memoria dell’acqua mostra anche molte scene di vita quotidiana. La fontana tutta gelata ad Asiago, oppure le gite in barca negli anni Trenta al lago di Fimon. La fontana con i cavalli alati che cento anni fa spruzzava alta nel giardino Salvi a Vicenza, come l’altra grande fontana di Thiene, quella che esisteva di fronte alla stazione di Vicenza o l’altra, di fronte al teatro Olimpico prima che fosse costruito il monumento a Fedele Lampertico. E i fotogrammi si susseguono: fermano l’immagine dell’acqua che scende dalla cascata di Staro o sgorga dalla fonte di Recoaro. Inquadrano il lavoro delle lavandaie, numerosissime, presenti ovunque con il sapone sulle rive di quei corsi d’acqua che adesso sarebbe impensabile sfruttare, e non solo perché esiste la lavatrice domestica. L’acqua racconta di architettura e lavoro, di ingegno e fatica. È un denominatore comune di tutta la provincia, che è davvero una terra ricchissima d’acqua: "Recoaro-Valdagno-Schio catin de Dio" non è solo un modo di dire. La quantità di piogge nell’Alto Vicentino è seconda, in Italia, solo al Friuli. Gli scienziati lo sanno. Colpa delle Prealpi: sono il primo ostacolo che incontra l’aria calda e umida che sale dall’Adriatico. La fortuna (e i problemi) del Vicentino nascono tutti da lì.

Ma si può parlare di una memoria dell’acqua? Secondo Di Lorenzo sì, come si legge nel primo capitolo: «Lo sanno bene gli scienziati (come ad esempio il giapponese Masaru Emoto, ndr). L’acqua ha la capacità di metabolizzare la storia di una comunità, e di ritrasmetterla, come un film che riporta indietro nel tempo. I secoli passano rapidi nella mente, i quadri cambiano velocemente. Appena ieri la spiaggia dei vicentini sul Bacchiglione era animata da una squadra di goliardi senza età, tra cui il salumiere Araldo Geremia, che s’era battezzata come I delfini del Livelon. Ed era l’altro ieri quando i ragazzini dell’era fascista nuotavano nella piscina – la prima a Vicenza – ricavata nel fiume vicino al torrione di porta Santa Croce. Qualcuno di loro è ancora vivo. Così come sono ancora parecchi che ricordano bene i bagni fatti da bambini nel fiume a ponte Pusterla. Mille anni fa l’acqua che passava sotto il ponte degli Angeli era quella dell’Astico, poi gli ingegneri della Serenissima deviarono il suo corso a Montecchio Precalcino con i murazzi e il suo alveo fu occupato dal Bacchiglione».

Come detto, l’Astico a Vicenza aveva creato anche un lago, il lago Pusterla appunto, vasto cinque chilometri: dalla chiesa di Araceli fino a Povolaro e a Montecchio Precalcino. «Quando l’Astico cominciò a ritirarsi, nel XIII secolo, sui terreni liberi fu costruito il convento e la chiesa di San Bortolo, che diventò poi l’ospedale di Vicenza. Qualche eredità di quel lago è rimasta fino a noi: il nome Saviabona del quartiere non vuol dire altro che sabbia buona. Era quella del letto dell’Astico. Il problema delle inondazioni non riuscì comunque a risolverlo completamente neanche la Serenissima, perché da almeno quattrocento anni si sperimentano rimedi alle piene. Con scarsa fortuna. Neanche la deviazione dei due fiumi, realizzata nel 1876, sistemò definitivamente la questione. Va ricordato che la separazione di Bacchiglione e Retrone e la creazione di quello che oggi si chiama viale Giuriolo fu un progetto dell’ingegner Carlo Beroaldi: in precedenza, sulla questione, erano stati elaborati e non realizzati ben quattordici progetti. Le alluvioni a Vicenza erano già un problema di cui dava conto Paolo Diacono nel 579 avanti Cristo. Ma un altro scrittore romano, Eliano, nel terzo secolo dopo Cristo, come ha scoperto Fernando Rigon, raccontava delle meravigliose anguille che si pescavano nel Retrone e le ha rese celebri in tutto l’impero romano».

Dopo la presentazione del mese scorso in sala Stucchi a Palazzo Trissino, il libro sarà presentato mercoledì 16 maggio alle 20.45 presso le Barchesse di Villa Cita a Montecchio Precalcino alla presenza dell’autore e del presidente di Acque Vicentine Angelo Guzzo. Di Lorenzo negli ultimi anni ha scritto anche "Perché ci chiamano vicentini magnagati" e, con Andrea Mason, una storia dello stadio Menti di Vicenza. L’autore ha insegnato giornalismo all’Università di Padova. Ha scritto anche numerosi volumi di cultura e storia vicentina e libri di cultura eno-gastronomica. Fa parte dell’Accademia Italiana della Cucina, di cui dal 2005 è entrato nel Consiglio direttivo della Delegazione di Vicenza. Nel 1999 il suo libro "L’altalena dei sogni" è stato premiato dall’Accademia Olimpica di Vicenza come migliore opera prima. Nel 2003 ha vinto il premio Francesco Fontana per il miglior contributo dato allo sviluppo della cultura eno-gastronomica vicentina.