CANOVA La danza della scultura tra eros e neoclassicismo

18.03.2012

[Repubblica, pagina 50, sezione Cultura]

Al Museo e Gipsoteca di Possagno un’esposizione dedicata al genio del marmo
Protagoniste le "ballerine" di inizio ‘ 800 ispirate ai reperti di Pompei ed Ercolano

Salendo verso Possagno si scorgono le colline d’ argilla, solcate dai castagni, da cui Antonio Canova traeva la materia peri bozzetti. La sua straordinaria mano conferisce al marmo il morbido fraseggio che realizza tra il nudo anatomico e il peplo che talvolta lo ricopre. Il modellato delle vesti e le trasparenze hanno una sottile carica erotica sottolineata dalla movenza dei gesti o della danza. Molte sue opere sono ispirate ai modelli di Ercolano e Pompei che visitò nel 1779: l’ avevano tanto affascinato, che, circa vent’ anni dopo, dipinse una serie di tempere su carta con fanciulle che danzano, e a più riprese vi ritornerà negli anni a seguire. A un uomo colto, quale fu Canova, non potevano essere sfuggite le pagine, commosse fino all’ eccitazione, che Winckelmann aveva dedicato alle sognanti immagini di bellezza rinvenute sulle pareti dipinte nelle città dissepolte alle falde del Vesuvio: le Danzatrici «sono fluide quanto il pensiero e belle come se fossero fatte per mano delle Grazie» scrisse il sassone. È geniale l’ idea che una forma dipinta possa essere fluida come qualcosa di assolutamente immateriale quale il pensiero. Canova, che amava la musicae la danza, seppe trasferire il motoe la danza in scultura: la Danzatrice con le mani sui fianchi (1806), la Danzatrice col dito al mento (1809) e la Danzatrice con i cembali (1809, come inciso nel gesso) sono un trittico che incarna il mito del Sublime, uno dei cardini dell’ estetica settecentesca. Nelle danzatrici Canova, con ineguagliata maestria, si libera dalla soggezione della gravità: il movimento è sempre una sfida per uno scultore e Canova aveva ben studiato il Laocoonte in Vaticano e quello scritto da Lessing, aveva sotto gli occhi Bernini. Tra i capolavori del Museo e Gipsoteca di Possagno, si conserva il gesso originaledella Danzatrice con i cembali, affidandone poi la trasposizione in marmo ai collaboratori, su cui interveniva alla fine nell’ intento di rappresentare «la vera carne». Attorno alle tre fanciulle, ruota la mostra Canova e la danza, a cura di Mario Cuderzo, (fino al 30 settembre, catalogo Terra Ferma), ma la Danzatrice con i cembali è la vedette della rassegna. Dall’ originale in gesso fu tratta la scultura in marmo, eseguita per l’ ambasciatore russo a Vienna Andrej Razumovskij, ora patrimonio inamovibile del Bode Museum. Il museo di Berlino ha consentito che si ripristinasse il gesso originale. Le tecnologie adottate dai restauratori sono un’ eccellenza dell’ Italia che andrebbe coltivata assai più di quanto non accada. Infatti il gesso (cm 187 x 80 x 55) fu gravemente mutilato nel 1917, perdendo le morbide braccia, che, alzate sul capo reclinato della fanciulla, avevano tra le mani, i cembali, piatti cavi originariamente in bronzo da usare a percussione. Girando attorno alle tre figure muliebri ci si avvede che esse sono delle fanciulle felicemente prese in una danza su un’ aia: non scendono dal Parnaso, non sono dee come Ebe (1796) ancora legata al revival neoclassico e, nella perfezione delle sue movenze, irraggiungibile: come nel bassorilievo della Danza con il figli di Alcinoo (1790-92). Non sono neppure associabili ai sofisticati tableaux vivants che Emma, nel palazzo di Sir William Hamilton, metteva in scena a Napoli per spettatori ammirati come Goethe. C’ è piuttosto in esse la grazia spigliata della giovinezza, sono gioiosamente spontanee nelle loro movenze e mi spingerei a dire che Canova qui sfiora un’ aura protoromantica, la stessa che aleggia in Foscolo e Goethe. Perché esse non sono menadi sfrenate in danze dionisiache e, nell’ inudibile musica che ispira i loro movimenti, risuona l’ eco dei loro giovanili anni: «Quando beltà splendea / negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi», dice Leopardi. Le gambe e i panneggi del gesso hanno un moto rotatorio che parte dal piede sollevato, mentre le braccia lo bilanciano in virtù della loro disposizione asimmetrica. Il capo reclinato s’ accosta alla spalla e lo sguardo volge in basso, mentre tutta la figura si libra da terra in elevazione. Un equilibrio sapiente che dà vita all’ idea stessa della danza. La storia della scultura la ricama Alvar GonzálezPalacios. Ma del maestro qui si vedono anche il gesso del suo busto del 1812 e la testa della Danzatrice con i cembali, attornianti da quaranta tempere e dalle incisioni dedotte. L’ Ala Scarpa del museo, tutta bianca, ha due lucernari in alto: da uno di essi si scorge una edificio attiguo con intonaco rosso che lede l’ armonia di questa splendida sala. Dipingerla in bianco eviterebbe un’ assai sgradevole intrusione cromatica.

CESARE DE SETA