Quando Hemingway spiegava: «Sono un ragazzo del Basso Piave»

24.04.2011

[Corriere della Sera]

Fotografia
Una mostra a Venezia con scatti dimenticati dell’autore di «Addio alle armi»: lui e il Veneto, dove ha combattuto, cacciato, scritto, amato

La sera del primo luglio 1961, l’ultima della sua vita, Ernest Hemingway e la moglie Mary rientrano nella casa di Ketchum, nell’Idaho, dopo aver cenato al ristorante. Mary intona dalla camera una canzone popolare italiana imparata a Cortina da Fernanda Pivano, ed Ernest completa le strofe dal bagno, dove ha appena finito di lavarsi i denti e s’ infila il pigiama. «Tutti mi chiamano bionda / ma bionda io non sono / porto i capelli neri / porto i capelli neri». Poi, mentre si preparano ad andare a letto, in stanze separate ma vicine e con le porte aperte, sulla scia di quel canto rievocano la loro festa d’addio a Venezia, nel ’54, all’hotel Gritti, affollata di amici giunti da ogni parte d’Europa e da diversi angoli del Veneto. Una chiacchierata carica di nostalgia perché il grande scrittore cosmopolita, che si sente in patria a Parigi come in Spagna, nell’Africa di tanti safari come a Cuba, in Florida o, appunto, a Sun Valley, è legato in particolare a questo pezzo d’Italia. Dove ha trascorso lunghe stagioni di guerra, di caccia e d’amore nel cui ricordo spende le sue estreme parole, mentre ha già deciso d’imbracciare il fucile, all’alba del giorno dopo, e suicidarsi. «Sono un vecchio fanatico del Veneto», aveva scritto a Bernard Berenson, rifiutando un invito a Firenze. «Sono un ragazzo del Basso Piave», aveva detto a quelli che gli chiedevano come mai volesse esplorare l’insignificante argine del Piave delle pianure, verso Fossalta. Cercava la trincea dov’ era stato gravemente ferito nel luglio 1918 (in lui tutto si tiene, perfino le coincidenze cronologiche) dalle schegge di una granata e dove tornò per seppellire, «dopo avervi defecato sopra», una banconota dei soldi avuti come pensione da reduce: l’esorcismo «stupefacente e apocalittico di chi s’ accuccia sul luogo della sua prima morte mentre guarda la sua morte ultima, di là dal fiume e tra gli alberi». Insomma: dalle prealpi intorno a Schio e Bassano alla Torcello lagunare, dalle Dolomiti ampezzane alle valli sopra Caorle, dalle colline veronesi a Venezia, la geografia sentimentale e letteraria di Hemingway ha molto a che fare con il Nordest italiano. E vi ha lasciato tracce e testimonianze così tenaci da consentire l’allestimento di una preziosa mostra a lui dedicata, nel cinquantesimo anniversario della scomparsa. Una rassegna fotografica, Il Veneto di Ernest Hemingway (a Venezia, Palazzo Loredan, sede dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, curata da Gianni Moriani e Rosella Mamoli Zorzi, fino al 15 maggio, Catalogo Antiga Edizioni) ricca di immagini mai viste, affiorate ora da archivi privati. L’autore di Addio alle armi e di Di là dal fiume e tra gli alberi vi è ritratto in mille situazioni diverse, con mille persone differenti: soldati e aristocratici, intellettuali e pescatori, alpinisti e barman come Giuseppe Cipriani. Che gli serviva quel Valpolicella che era per lui «leggero, secco, rosso e cordiale come la casa di un fratello con cui si va d’accordo».

di Marzio Breda