Treviso, le mappe della città perduta

10.03.2011

[Il Gazzettino – Treviso]

È cambiato il modo di vedere Treviso nel tempo.
L’immagine, un po’ l’archetipo di come era vista la città per quasi due secoli, si coglie in una veduta del 1582 realizzata ad inchostro dal Pozzoserrato, all’anagrafe Lodovico Toeput, pittore di Anversa
che si spostò tra Venezia e Treviso. La città veniva colta da sud, mentre accoglieva il viaggiatore in arrivo dal Terraglio, da Venezia. È da questa veduta che prende spunto l’incisione
pubblicata nel 1598 da altri fiamminghi, come nella "Civitate orbis terrarum" o nel Theatrum orteliano.
Ed è ancora questo punto di vista "meridionale" a dominare le prime guide turistiche d’Italia. Nel 1809 poi, Basilio Lasinio sale sul vecchio campanile della chiesa di San Lazzaro per restituire a matita la "Veduta della Regia Città di Treviso". Questa raffigurazione secolare però viene stravolta dalla modernità. Lo chiarisce molto bene Marco Moro che, nel 1853, propone alcuni scorci inquadrando la città dal baluardo del gasometro: da lì si intravede l’area dove sorgerà la città-giardino, una ciminiera è indicata dove più tardi ne verranno costruite altre da Appiani. È un’immagine dove tutte le ciminiere sono fumanti: ci sono il treno e la stazione ferroviaria appena costruita, il che indica l’ingresso nella modernità e nell’industrializzazione. La veduta, dunque, non è mai neutra: il disegnatore, il topografo, è sempre figlio del proprio tempo.
Tutto questo affiora nell’ "Atlante Trevigiano. Cartografie e iconografie di città e territorio dal xv al xx secolo" curato dal geografo Massimo Rossi, responsabile della cartoteca della Fondazione Benetton e curatore scientifico della mostra omonima (aperta negli spazi Bomben dal 22 gennaio al 17 aprile 2011) e pubblicato da Antiga.
Il volume viene presentato domani, venerdì, alle 18 alla Fondazione Benetton alla presenza del geografo Claudio Cerreti e Massimo Quaini. Rossi osserva i vari passaggi che dalle cartografie e
iconografie antiche portano ai nostri giorni, fino allo scatto effettuato nell’ottobre del 2010 dal nuovo campanile di San Lazzaro: uno sguardo impietoso sulla città, che ha nettamente dimostrato come
l’iconografia antica sia stata ormai completamente stravolta. Il rapporto città- territorio, città- mura non è più leggibile: le mura che con i loro bastioni segnavano nettamente il confine tra città e
l’ambiente circostante, non sono più visibili, inglobate tra le costruzioni. Questo, secondo Rossi, indica la perdita di un "punto di vista" che ha codificato l’immagine di Treviso per quasi due
secoli. Il volume parte dalla collezione privata cartografica e iconografica del medico odontoiatra Domenico Vianello Bote, che comprende materiale dalla fine del ‘400 all’800. La maggior parte sono fogli strappati o tagliati da atlanti, quindi totalmente decontestualizzati. «Bote girava per mercatini, a Palmanova, Adria e comprava stampe, cercava una completezza della sua raccolta che però non ha dimostrato carattere di studio – spiega Rossi – Nella mostra, ma soprattutto nel catalogo, si sono volute ricostruire le fila riportando ogni singola pagina strappata al codice originario. Abbiamo tentato di parlare anche degli autori dei codici, dimostrando così che la costruzione di una carta geografica e della raffigurazione di una città, è una questione sociale».

Chiara Voltarel