Quando l’ortica vale più del foie gras

18.01.2011

Vino e Cibo

A sottolineare di come cipolle, patate, polenta e altri ingredienti dal poco blasone o dalla fin troppa popolarità possono diventare ricercate prelibatezze è stato Giuseppe Casagrande, critico enogastronomico dell’Adige, coautore con Nereo Pederzolli del volume «La cucina trentina» (XX volume della collana «Tecete» di Terra Ferma edito in collaborazione con la casa editrice Panorama di Trento, foto di Cristiano Bulegato.
Il destro, per affermare che la grande cucina non è solo quella fatta usando caviale o foie gras ma quella fatta sapendo attingere con grande passione anche dagli ingredienti più umili, è stata proprio la presentazione del nuovo volume scritto a quattro mani. Dove con signorile sagacia, Casagrande e Pederzolli, hanno dato giusta nobiltà ai piatti di una tradizione culinaria scambiati ingiustamente per pietanze non degne di glamour. Per farlo, Casagrande ha preso spunto da uno dei piatti più umili della cucina trentina, la minestra di ortiche, piatto assaggiato trent’anni fa a Rovereto nella mitica «cambusa» di Gigi Caresia (il «Pellegrino Artusi del Trentino»), inquadrando così una cucina di frontiera che nel corso dei secoli ha dovuto fare di conto con le ristrettezze economiche di un territorio aspro e difficile da piefare al volere dell’uomo.
Gente, quella trentina, che ha saputo però utilizzare al meglio le risorse a disposizione: piante officinali, ortaggi, funghi, frutta spontanea. «Strangolapreti», «tonco de pontesel», «smacafam», «tortel de patate», «sguazet»: sono alcuni dei mille piatti tipici di… Una cucina etichettata spesso come «povera». Come del resto lo è stata in ragione di quel che per secoli ha imbandito le tavole delle valli del Trentino. Era la polenta, insieme con in cavoli, i fagioli e le patate l’alimento-base delle popolazioni di montagna e non gli insaccati, le uova e il formaggio che venivano invece venduti per racimolare quei pochi denari, indispensabili, per sopravvivere. Cucina «povera», al contrario di quella opulenta delle corti nobiliari, dei principi-vescovi, dei ricchi prelati e dell’alta borghesia. Il momento di maggior splendore per la cucina trentina fu sicuramente quello che coincise con il Concilio Tridentino, un vero e proprio summit internazionale che dal 1545 al 1563 fece di Trento una sorta di «caput mundi». Fu durante quei 18 anni che la cucina trentina visse una sorta di Rinascimento con un trionfo di piatti raffinatissimi confezionati con prodotti che solo i potenti dell’epoca potevano permettersi: dal prosciutto di San Daniele del Friuli allo stoccafisso delle isole Lofoten, dai formaggi francesi alle primizie orticole del Meridione d’Italia per non parlare dei vini siciliani. I banchetti – raccontano i cronisti del tempo – si protraevano per più giorni ed erano arricchiti dall’apporto di diverse culture e tradizioni gastronomiche, visto che vescovi e cardinali erano accompagnati dai rispettivi cuochi di corte.
Tutte queste «contaminazioni» gastronomiche trovano riscontro anche nella cucina odierna attraverso una serie di pietanze che si rifanno di volta in volta alla cucina danubiana, alla cucina boema, alla cucina tirolese, alla cucina bavarese, alla cucina veneta, lombarda o emiliana. Così accanto ad una versione arricchita dei «knödel» (canederli) troviamo il «goulasch», il «tortel de patate», la polenta «carbonera», la «panada», il «brò brusà», il «baccalà», la «torta Simona». Tutte ricette dei tempi passati rielaborate in occasione della realizzazione del libro da sedici chef che fanno parte delle Osterie Tipiche Trentine.
Le 52 ricette sono state scelte tra quelle pubblicate nel 1989 dalla casa editrice Panorama per la «Trentini nel mondo». Accanto al cibo, nel volume non potevano mancare le pagine dedicate al vino e ai distillati come ben ricordato da Nereo Pederzolli : «La vite, sulle Dolomiti è uno dei più importanti indicatori ambientali. Sancisce limiti, scandisce il territorio. Senza tentennamenti. È la pianta che meglio interpreta la fatica dei montanari. Gente che dalla propria vigna ha sempre ricavato sollievo, non solo economico. Vino semplice, franco, buono come solo le cose schiette sanno esserlo».

I sedici chef che hanno realizzato le ricette sono:
Giorgio Iori : ristorante El Pael – Canazei
Maurizio Tait : ristorante Costa Salici – Cavalese
Massimiliano Arer : locanda delle Tre Chiavi -Isera
Massimo Sommari : ristorante Hotel Foresta – Moena
Maurizio Arienti : ristorante Le Giare – Pozza di Fassa
Maurizio Boscolo : ristorante El Barba – Malè
Achille Leonardelli : ristorante Ca’ dei Boci – Montagnaga di Pinè
Marco Salvadori : ristorante Cant del Gal – Tonadico
Federico Parolari : osteria a Le Due Spade dal 1545 – Trento
Ivano Dossi : locanda D&D – Nogaredo
Stefano Bertoni e Diego Rigotti : ristorante Castel Toblino – Sarche di Calavino
Marcello Franceschi : ristorante al Forte Alto – Nago/Torbole
Armando Nicolussi : ristorante Villa Madruzzo – Trento
Sergio Eccheli e Francesco Antoniolli ristorante Osteria al Vò – Trento
Antonio Rimmaudo : ristorante Il Catenaccio – Rango di Bleggio Superiore
Giuseppe Prencipe : ristorante da Pino – San Michele all’Adige

Cucina trentina I prodotti tipici e le ricette della tradizione
Testi di Giuseppe Casagrande e Nereo Pederzolli
Collana: Tecete
Pagine: 136
Immagini: 80 Formato: 17×22 cm
Confezione: brossura con alette
ISBN: 978-88-6322-097-1
Prezzo di copertina: € 12,00