Le mani che pensano

26.11.2010

[Il mattino di Padova]

Un materiale nuovo, la carta, per Elio Armano: lui scultore abituato a cemento, ferro, creta e gesso. Ma la sua ultima scultura è di carta, e dedicata a se stesso: «Non posso permettermelo, arrivato a 65 anni?». La domanda rimane sospesa, la sua auto-creazione no: è sul tavolo, è un libro, che per fortuna non è né antologia né catalogo: Pensare con le mani. 45 anni di scultura fotografati da Giovanni Umicini. E’ carta che pulsa, invece, di parole e immagini, di arte così pregna dei momenti di vita che non se ne può distaccare. Così l’opera illumina l’esistenza e viceversa: un bel modo per provare a capire e l’uomo e la sua arte. In realtà Elio Armano raccontato per parole e immagini è il minimo che serve: perché non basterebbero le centinaia di opere, tutta quella materia presa e trasformata, per capire chi è l’uomo. Perché Armano è un artista come il Timavo è un fiume: c’è, scorre, ma adesso si vede e più avanti è sotterraneo, qui è tranquillo e oltre è impetuoso. Sfocia comunque, così l’opera d’arte nasce e si vede, ma non si sa bene se racconta dell’Armano visibile o di quello nascosto. Per questo è utile che qualcuno, vicino all’immagine delle sue creazioni, racconti la sua vita. L’ha fatto, con molta partecipazione e bravura, Francesco Jori, che su questo giornale ha abituato i lettori ai suoi pezzi di opinionista, nei quali è analitico e razionale. Ma Jori è più giornalista quando incontra l’umanità: succede solo ai più bravi. La vera notizia del mondo, sempre fresca, sempre attuale, sempre nuova, è proprio l’umanità: capace di sorprendere chi sa coglierla, ogni volta diversa, comunque speciale. Raccontare gli uomini è di per sé un romanzo: ma dove tutto è tremendamente vero. Così Jori ha scritto una biografia che ha tutti gli elementi della biografia: le date, i momenti, i passaggi, i cambiamenti, ma è molto di più. E’ la chiave per capire un uomo che è anche artista. E’ una consolazione accorgersi che le parole servono ancora: ridotte a slogan, poche striminzite ma eclatanti in questo mondo abbreviato, quasi sempre appaiono singulti, più che respiri. Le parole sono ridotte a didascalie delle immagini, che hanno conquistato tutto il terreno della comunicazione. Ondate su ondate di colori in movimento, e foto e tv e youtube: quello conta e racconta. Molto spesso la parola è ridotta alle poche lettere di un link. E invece nel rifugio-libro la parola riemerge, si fa bella, riacquista tutta la sua importanza e la sua potenza. Basta riuscirci. Jori ci riesce e di Armano non fa una scheda, fa un ritratto: anzi, qualcosa di simile ad una striscia di fumetti, ma di quelli seri, una serie di quadri scorrendo i quali si coglie il movimento di una vita. Era importante farlo perché Armano è un caso particolare: siamo convinti che capire le sue opere non possa prescindere dalla conoscenza di come è vissuto. Non succede sempre così. Impressione di chi scrive, per esempio, è che se guardate una scultura di Moore, vi basta la scultura. E’ conchiusa in sé, un concentrato di forma pura, forma e solo forma. Non serve sapere se Moore, facendola, beveva qualche tè o fumava quaranta sigarette, non serve sapere se votava per i tories o per il Labour. Prendete Viani, il maestro di Armano: è lo stesso. Le sue cose sono cose d’artista e basta, materia modellata per essere arte, punto. Come se ci fosse stato, a monte, uno sdoppiamento tra uomo e artista. Magari ci sbagliamo, chi lo sa?, ma questa è l’impressione. Con Armano, tutto diverso. Nelle sue opere "devi" cercare l’uomo, altrimenti sembrano giocattoli d’arte. E invece in quei semplici segmenti, in quelle forme stilizzate, perfino nei buchi che ci sono e non ci sono, c’è una storia umana variegata, complessa, dalle molte facce, unico comun denominatore l’istinto. Dentro ai pezzi di terracotta modellata c’è Armano bambino all’oratorio, isolato perché non frequentava l’ora di religione (anni Cinquanta: anatema!) per via del papà comunista; c’è il giovane allievo modello dell’Accademia di Belle Arti, c’è l’irruento politico che entra nel Pci e dimentica l’atelier, c’è (ma si vede meno) il sindaco di Cadoneghe, il vicepresidente della Giunta Regionale, perfino lo strano amico di Giancarlo Galan. Ma c’è anche l’uomo che va nel Mali e scopre un linguaggio artistico originario: così simile al suo, segni semplici che dicono; e c’è l’uomo eremita che vive tra quattro muri, tre alberi e un piatto di pesce su un lembo di costa croata, via da tutto, riempiendo pagine e pagine di taccuini con i suoi geroglifici, un cappello in testa sotto il sole, nel silenzio con la sola musica del vento. C’è Armano che mette in pubblico i suoi sessant’anni con un proclama autoironico: «Sei zero», quello che regala a Padova un pezzo di pietra cercando di racchiudervi tutto Palladio. Insomma, negli stilemi via via rappresentati nel ferro, nel cemento, nella creta ci sono battiti del cuore e sinapsi cerebrali: gli uni e le altre ridotti all’essenziale. Armano riduce all’essenziale anche quel tanto di barocco che anima l’uomo: e questo è uno dei piccoli misteri da alchimista che si porta dentro. Ma noi dobbiamo dire del libro, perché dell’uomo dice Jori. Dicevamo che la biografia, chiamiamola così, funziona da guida per la comprensione delle opere. Un’altra guida, ancora più diretta, è lo scritto in coda: pensieri sparsi di Armano, brevi riflessioni, blitz di ragionamento. Servono: magari ambiscono all’universalità, testimoniano in ogni caso sincerità. Il libro, edito da Antiga, è quindi completo di parole. Ma non lo sarebbe senza le immagini. E infatti, per chi non se ne accorgesse, il libro non è solo su e di Armano con parole di Jori. Le pagine sono un discreto monumento anche a Giovanni Umicini, il fotografo che racconta le opere di Armano. Umicini trasforma quella che poteva essere una compilation in una serie di pezzi unici, immagini firmate almeno tanto quanto i pezzi d’arte. Non è sempre facile fotografare Armano: lui, con quel barbone, con i chiaroscuri della faccia larga, ti dà materia. Le sue opere spesso sono semplicissime, superfici dove la luce scivola e non aggruma, linee che escludono la corporeità. Non è facile fotografarle, perché non ci sono curve dove il chiaro vira all’ombra, è come voler fissare la geometria sostanzialmente pura. Umicini si immedesima, cerca i tagli netti, sceglie un bianco e nero che non ammette scuse né suggestioni. Non si limita a documentare, aggiunge la sua creatività trattenendola dentro il rispetto dell’opera altrui. Se non ci fossero le foto di Umicini, tutte, perché tutte assieme valgono e formano un corpus, il libro non sarebbe un libro, sarebbe zoppo. Di più: probabilmente, senza che nessuno lo volesse, questo volume celebra Umicini almeno quanto Armano. E siccome questo toscanaccio padovanizzato veleggia verso gli ottant’anni, e ce ne ha da raccontare, non ci sarebbe stata male una sua "biografia": tanto per far capire quanto conti, nel racconto per immagini, la presenza di un altro artista. Ma tant’è, questo è il monumento di carta ad Armano, giusto all’indomani di quando alcune sue opere sono state esposte nella "galleria del Novecento" al Centro Altinate. Sono traguardi, piccoli e grandi, nella vita di un uomo. Crediamo non gli ultimi. La presentazione del volume «Elio Armano. Pensare con le mani» avverrà quest’oggi alle 18 nella sala Rossini del Caffé Pedrocchi a Padova. Interverranno, assieme allo scultore, il vicepresidente della Regione e assessore regionale alla cultura Marino Zorzato, il sindaco di Padova Flavio Zanonato, Angelo Tabaro, segretario generale Cultura e Turismo della Regione Veneto, Andrea Simionato di Antiga edizioni e il fotografo Giovanni Umicini, coordinati dal direttore del «mattino» Omar Monestier. L’ingresso è libero.

Paolo Coltro