Non solo Compostela: S. Giacomo in terra scaligera

12.04.2015

Anche a Verona molte testimonianze del culto del Santo

Il cammino di Santiago, riconosciuto dal Consiglio d’Europa nel 1987 come “il primo itinerario culturale europeo”, battuto da più di un millennio da pellegrini provenienti da ogni dove, da santi e peccatori, da teste coronate e da gente comune, si può considerare la culla entro la quale è nata la civiltà cristiana d’Occidente. Lo aveva già affermato cinque anni prima papa Giovanni Paolo II, che di ritorno dal pellegrinaggio alla tomba dell’apostolo Giacomo, aveva dichiarato: «Il pellegrinaggio a Santiago fu uno degli elementi forti che favorirono la comprensione reciproca di popoli europei tanto diversi. Il pellegrinaggio avvicinava, di fatto, metteva in contatto e univa tra loro quelli genti che, di secolo in secolo, raggiunte dalla predicazione dei testimoni di Cristo, abbracciavano il vangelo e contemporaneamente, si può dire, emergevano come popoli e nazioni».
Da allora il cammino con maggiore vigore ed entusiasmo è stato intrapreso da folle di devoti, specie giovani, e da turisti, forse più attratti dall’itinerario, oggi tanto in voga, che dalla valenza del traguardo: un fenomeno di “moda” che rischia di snaturarne talora il valore. 
Ma, al di fuori della Galizia, dove permangono tracce del culto del Santo? E se ne trovano segni nelle terre venete apparentemente lontane dai sentieri iacobei? A chiederselo è stato un medico, Paolo Spolaore, già cardiologo, direttore di ospedale (ha lavorato anche nell’azienda ospedaliera di Verona) ed epidemiologo, che, dopo percorso in bicicletta e a piedi il camino frances, il sentiero classico che da S.Jean Pied de Port arriva a Santiago, ha deciso di approfondire l’argomento, dedicandosi alla ricerca storica con la stessa passione, dedizione e rigore con cui ha esercita la sua professione.
Ne è nato un volume Sulle orme di Giacomo nel medioevo delle Venezie. Per antichi cammini alle origini di un culto sommerso, edito da Terra Ferma, con la presentazione del card. Gianfranco Ravasi e la prefazione di Paolo Caucci von Saucken.
Non -come l’autore tiene a precisare- una guida o una carta per itinerari di viaggio o per escursioni con qualunque mezzo, ma un indagine di carattere storiografico proposta a tutti, nel tentativo, riuscito, di ricomporre “le memorie di un passato che è nostro più di quanto immaginiamo”.
Il lavoro è stato difficile e immane, date la scarsità di fonti disponibili, spesso lacunose e ingannevoli, e la labilità delle tracce nel territorio, in parte cancellate dal tempo o nascoste dalla storia, sopravvissute magari solo nella toponomastica. Il saggio si articola seguendo due dimensioni: L’una verticale, legata al culto dei Santi e all’agiografia iacobea, già di per sé complessa; l’altra orizzontale, volta a rintracciare, nel contesto culturale ed ambientale del Veneto medievale, possibili tracciati. Ne emerge una rete stradale, costellata di strutture d’accoglienza e luoghi di culto, in cui le vie si intersecano: vie mobili che corrispondono solo in parte a quelle praticate nei secoli precedenti e che variano a seconda delle condizioni metereologiche, dei fattori politici, degli eventi bellici e della stagionalità, prediligendo d’estate il fondovalle e d’inverno i rilievi collinari o la mezza costa.
In questo vasto sistema di comunicazioni, Verona, in cui il culto iacobeo locale si affermò indipendentemente dalla tradizione ispanica già nei primi decenti del IX sec., non esercitò un ruolo secondario. Lo attestano le testimonianze in città: la chiesa di S. Giacomo alla Pigna, S. Giacometto, ora sconsacrata e adibita a sede di una scuola di musica; la chiesa di S. Maria Antica, che conserva il sarcofago di Alberto I della Scala sulla cui facciata anteriore è rappresentato S. Giacomo con cappello da pellegrino e bordone; l’oratorio di S. Giacomo di Galizia in campo Marzo, all’angolo tra via XX settembre e via Maffi; la cappella Emilei in Cattedrale, che custodisce la pala di Francesco Morone in cui è raffigurato il Santo con gli attributi del libro e del bordone; la basilica di S. Zeno, in cui campeggia, nella teoria dei Santi dell’iconostasi, opera del Brioloto, la statua dell’Apostolo; l’abbattuta chiesa di S. Giacomo di Galizia in via Valverde con annesso ospizio per pellegrini, sulla cui area fu costruito l’ospedale militare e, fuori dalle mura cittadine, lungo la via consolare che portava a Ostiglia, la chiesa S. Giacomo e Lazzaro, detta anche della Rogna o in Tomba, all’interno del complesso del Policlinico di Borgo Roma. Ma fra i siti in provincia, una menzione a parte merita, a Vago di Lavagno, la chiesa di S. Giacomo al Grigliano, la cui slanciata abside svetta dal colle a lato dell’autostrada Serenissima, lungo l’asse dell’antica Pustumia. Un edificio grandioso, inaugurato nel 1396 ma mai ultimato, che doveva superare in grandiosità le chiese cittadine e, almeno nelle intenzioni dei Visconti signori in quegli anni di Verona, entrare in competizione addirittura con Compostela. Era infatti l’unico santuario veneto dedicato a S. Giacomo (non è dato di sapere se il Maggiore o il Minore), che, secondo la tradizione, ne custodiva il corpo, meta di pellegrinaggi nei secoli e di una radicata devozione popolare.

Cecilia Tomezzoli