Il Veronese? Un gaudente raffinato

26.09.2014

Dalla sontuosità delle “Nozze di Cana” all’irriverente “Cena in casa Levi” stroncata dall’Inquisizione

Veronese “maestro” di banchetti. Nel profluvio di celebrazioni veronesiane in corso in tutto il Veneto che hanno il fulcro nella magnifica mostra dedicata al grande pittore rinascimentale in corso alla Gran Guardia di Verona, si inserisce un libro singolare ma di grande interesse come “Le fastose cene di Paolo Veronese nella Venezia del Cinquecento» (edizioni Terra Ferma).

A curarlo è l’ideatore e vicedirettore del Master in cultura del Cibo dell’Università di Cà Foscari Gianni Moriani e l’interesse nasce innanzitutto dall’angolazione del volume. In un secolo come il Cinquecento in cui si afferma in Italia nel banchetto la nuova arte culinaria e nella Venezia del tempo essi costituiscono una precisa articolazione del potere politico o sociale, Veronese ne offre nei suoi grandi teleri una rappresentazione straordinaria e insieme ricchissima di dettagli di grande precisione. Perché, ad esempio, il calice di cristallo che un moretto offre al convitato seduto al bordo della tavola in un particolare delle celeberrime “Nozze di Cana” – un tempo a San Giorgio e ora al Louvre – ha un’impressionante somiglianza con il calice in cristallo con stelo a balaustra, del XVI secolo, che lo stesso Moriani ha rinvenuto nei depositi del Museo del Vetro di Murano.

D’altra parte – come ricorda nella prefazione al volume una storica dell’arte come Paola Marini, direttrice del museo veronese di Castelvecchio e curatrice con Bernard Aikema della mostra dedicata al pittore rinascimentale alla Gran Guardia – non bisogna dimenticare il fatto che il contenuto delle cene veronesiane è in primo luogo sacro e che erano rivolte innanzitutto a favorire la riflessione di monaci e sacerdoti durante il pasto, in un periodo in cui la Chiesa, dopo la Riforma Luterana, era chiamata a rivedere profondamente la sua modalità di comunicazione anche attraverso le immagini.

E tuttavia Veronese andò certamente oltre, se per la sua versione dell’Ultima Cena affidata alla «Cena in casa Levi» venne giudicata dal Tribunale dell’Inquisizione irriverente e sconveniente con i suoi «buffoni, imbriachi, todeschi, nani e altre scurrilità».

Questi grandi spazi scenici, quasi di impianto teatrale, che Veronese costruisce anche attraverso le sue Cene sono contemporaneamente una miniera di informazioni su arredi, tessuti, alimenti, suppellettili del tempo che hanno in particolare attirato l’attenzione di Moriani in uno sguardo più ampio alla rappresentazione del lusso veneziano del tempo.

Individuando anche nei dipinti veronesiani figure-chiave dei banchetti dell’epoca, come il maestro di casa, lo scalco – il soprintendente alle cucine – e il trinciante, incaricato di tagliare con sapienza la carne alla tavola del signore, soprattutto i volatili, con i pezzi tagliati che venivano fatti cadere sul piatto senza essere toccati.

Proprio “Le Nozze di Cana» secondo Moriani, rappresentano un concentrato dell’“emporio” del lusso veneziano che – a dispetto della committenza religiosa – Veronese offre alla vista dello spettatore, dalla piattaia con i suoi piatti d’oro e d’argento, ai vassoi di portata d’oro, alle anfore decorate con motivi tratti dalla classicità: tutti elementi che ruotano intorno all’asse primario del telero, con al centro Cristo. Ma in questo quadro – come osserva ancora l’autore – Veronese “costruisce” anche la nuova sala da pranzo, rispetto a quelle tavole improvvisate, con cavalletti posti sopra a un asse di legno di tanta pittura precedente. Rivela, in pratica, la modernità del banchetto, che ci accompagnerà, di fatto, fino ai giorni nostri.

Enrico Tantucci

Corriere delle Alpi (25 settembre 2014)

La Tribuna di Treviso (25 settembre 2014)

La Nuova di Venezia e Mestre (25 settembre 2014)

Il Mattino di Padova (25 settembre 2014)