Prigov, l’arte è (davvero) totale. Star e provocatore sulle orme di Warhol e Piero Manzoni

25.06.2014

È possibile scrivere versi su un poliziotto? Dmitrij Aleksandrovic Prigov (1940-2007) ci ha provato. «Dappertutto puoi vedere il Poliziotto / E da Oriente puoi vedere il Poliziotto / Da sud pure puoi vedere il Poliziotto / E dal mare puoi vedere il Poliziotto / E dal cielo puoi vedere il Poliziotto / e anche da sottoterra … / ma poi mica a noi si cela»: ecco alcuni versi, tradotti da Alessandro Niero, nel 2011, per le edizioni Terra Ferma. Il poliziotto, naturalmente, era l’espressione del potere sovietico. «Inserire quel protagonista in poesia era come invitare un poliziotto ad una serata letteraria clandestina. I poeti dell’underground idolatravano l’Achmatova, Mandel’stam, leggevano sino alla nausea il raffinato Brodskij. E qui, un poliziotto. Che schifo! Il vero poeta passava accanto ai poliziotti quasi di corsa, come accanto ai cartelloni pubblicitari, agli enti statali, ai monumenti», scrive Vladimir Sorokin nel saggio del catalogo della grande rassegna che la Tretjakov di Mosca dedica a Prigov. Esposti 350 lavori (installazioni, libri-oggetto e oggetti vari, disegni, poesia visiva) del padre del concettualismo russo, considerato «artista totale» perché poeta, narratore, pittore, scultore, musicista, attore, autore di canzoni e video, tanto da autodefinirsi Progetto Prigov. Assieme a Lev Rubinštejn, negli anni Sessanta, dà origine, appunto, alla cosiddetta Scuola concettualista e, sempre con l’amico, alle performance. Una vera forza della natura, Dmitrij. «Star, caposcuola, autorità morale, provocatore, enfant terrible) l’ha definito Viktor Misiano. Viene in mente Marinetti. Ricordate i barattoli di Andy Warhol e quelli di Piero Manzoni? Quelli di Dmitrij sono riempiti a metà di gesso, con un’asta piantata in mezzo, e, a mo’ di bandiera, un’etichetta per spiegare di che cosa si tratta: Barattolo di versi (scritti a macchina su foglietti ritagliati e incollati attorno), Barattolo di date, Barattolo del giorno e della notte, e così via. Sorokin: «C’è anche il Barattolo per il disarmo completo e incondizionato degli Usa». Accanto a questi, i barattoli-bouquet, dove, come fiori, sono infilati fogli (arrotolati come sigarette) di poesie scartate. Non essendo possibile leggerle, «continuano a risuonare e, in assenza delle parole, vengono percepite come poesia pura». Punto di riferimento: Anna Achmatova.

Sempre agli anni Settanta risalgono un buon numero di disegni che si ispirano al Surrealismo di bretoniana memoria,  e gli stikhogrammy, realizzati con la tradizionale macchina per scrivere: «I testi si ordinano secondo un particolare ordine – nota Olga Strada – e danno vita, attraverso le parole dattiloscritte, a immagini di notevole impatto». Composizioni, queste – sempre anni Settanta – che rimandano al fenomeno sovietico del samizdat (edito in proprio). E che dire dei Bestiari, ritratti di Vermeer, Chagall, Pavel Pepperstein, tratteggiati con penne a sfera? Resta deluso chi pensa di trovarsi dinanzi al ritratto classico. Dmitrij vuole scandagliare «l’essenza» dei personaggi e per farlo attinge alla mitologia greca: animali e piante. Motivo ricorrente dei suoi lavori, l’occhio (divino) che dall’alto osserva gli «omuncoli minuti, con le loro passioni semplici, indaffarati», frenetici come formiche («Sfoglia il Signore il libro della vita / E pensa: chi potrei portarmi a casa / ( … ) Fruga negli angoli con la sua mano e / Ghermisce un povero, che trema e si dimena, / Guarda il Signore negli occhi e sente dire: Dio è con te / Che ti dimeni a fare?»). Prigov è nato a Mosca. Di famiglia benestante (padre ingegnere e madre pianista), ancora studente lavora in fabbrica. Come scultore, comincia modellando la creta e come poeta scrivendo decine di versi al giorno (pare che, complessivamente, siano 35 mila). Pubblica i primi all’estero: Stati Uniti e Germania dove ha il premio Puskin. Poi tra il poeta, il filosofo e l’artista prevale l’artista e il «gran lavoratore della cultura» (la definizione è del suo amico Lev Rubinštejn) rimane quasi ossessionato dalla volontà creativa. Senza sosta. «Annunci di pubblico servizio», chiama le sue poesie. Mentre le affigge sui lampioni o sui muri di Mosca, viene preso dal Kgb e internato in un ospedale psichiatrico. Non ci rimane molto, grazie alla mobilitazione di molti intellettuali. Mentre esce dal nosocomio comincia a diluviare. Dmitrij si siede su una panchina, alza il viso e apre la bocca per accogliere l’acqua, mentre un paio di scarafaggi si muovono sulla seduta: «Ecco, piove, siedo con uno scarafaggio / Accanto a una finestra bagnata / Guardiamo la lontananza, dove s’erge / Dalla nebbia il paese desiderato / Come in un fumo oltre i limiti / Io dico con un certo languore: / Ebbene, villoso, voliamo via! / – Io non posso, io so solo / Correre … / Beh, corri, corri».

Sebastiano Grasso, sgrasso@corriere.it

Il Corriere della Sera (23 giugno 2014)