La più amata da seicento anni

13.12.2013

“Merita un monumento” è la storia della Basilica Palladiana e dei suoi innumerevoli riusi nella vita cittadina dalla fine del ’500 in poi

Viene presentato oggi alle 18 in Sala Stucchi, a palazzo Trissino, il volume edito da Terra Ferma “Merita un monumento”, 156 pagine, dedicato ai 600 anni di vita della Basilica Palladiana e ai suoi numerosi “riusi” nella storia, raccontati dal giornalista Antonio Di Lorenzo. Un tema mai affrontato prima con questa completezza. Il libro contiene anche un contributo di Vladimiro Riva, direttore del Consorzio Vicenza è sull’iscrizione dei beni palladiani nella lista Unesco e sul percorso per arrivare alla dichiarazione della Basilica come monumento nazionale; e un capitolo di Nicoletta Martelletto su Andrea Palladio e la vicenda della costruzione della Basilica. Ricchissimo il corredo di foto anche inedite, comprese quelle dell’Archivio Fondazione Vajenti. Qui sotto l’inizio del lungo racconto.

Mezzo secolo prima che intervenisse Palladio, in quel Salone i nobili vicentini giurarono fedeltà all’imperatore Massimiliano I. Il padre, Federico III, nel 1489 era stato accolto nello stesso luogo dalle autorità vicentine. Quella Sala Grande è sempre stata il luogo civico per eccellenza, il cuore della città. Tant’è vero che fu eletta a sede delle magistrature cittadine: vi si riuniva il Consiglio della città per le decisioni più importanti . Sotto l’ occhio del leone di San Marco è stata amministrata la città, sono stati celebrati anche processi (esisteva perfino un altare, che dava sull’attuale piazzetta Palladio) ma si sono svolti anche grandi ricevimenti. E in piazza i nobili nel Seicento si sfidavano in tornei cavallereschi. A proposito di giochi, già alla fine del XVI secolo nel loggiato della Basilica si improvvisavano partite a calcio. Non era lo spettacolo che conosciamo oggi, naturalmente, ma la palla c’era e l’agonismo acceso. Allora la Basilica, era ancora un cantiere e la passione per il caldo era punita severamente dal Comune, con la tortura dei “tratti di corda”. La Basilica, è un monumento ammirato da Goethe e da Hemingway, da Le Corbusier e da Alessandro Manzoni, dall’imperatore austriaco Francesco Giuseppe e da quello francese Napoleone Bonaparte. Ha fatto da quinta architettonica ai grandi avvenimenti della città: in Piazza dei Signori il re Vittorio Emanuele II consegnò la medaglia d’oro alla bandiera della città nel 1868 per il valore dimostrato nelle guerre del Risorgimento; nel 1995 il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, conferì la seconda medaglia d’oro per il contributo di Vicenza alla Resistenza e alla Liberazione. In quella piazza si accamparono i cosacchi del Don nel 1799, che inseguivano Napoleone dalle steppe russe; di fronte alla Basilica i vicentini nel 1918 festeggiarono la Brigata, Sassari (“li maravigliosi ragazzi sardi”, era scritto nei manifesti affissi dal sindaco Muzani) e gli alleati francesi dopo la decisiva battaglia dei Tre Monti. Vent’anni dopo, nel settembre 1938, dalla maxi tribuna eretta vicino al colonnato palladiano, Benito Mussolini radunò forse la più imponente folla di vicentini di tutti i tempi. E nei primi anni Cinquanta, quando la passione per la politica incendiava un’Italia divisa tra cattolici e comunisti, Amintore Fanfani richiamò un’altra folla oceanica al suo comizio. In quella piazza, nel maggio 1978 i vicentini si radunarono in massa per onorare Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse; e vent’anni dopo festeggiarono la Coppa Italia conquistata dal Vicenza calcio di Francesco Guidolin: la squadra ha cambiato nome, ma resta sempre “Lanerossi” nel cuore anche se lo sponsor non c’è più. Nel Salone della Basilica, il fascismo allestì nel 1938 un’orgogliosa mostra delle realizzazioni del Regime. Dieci anni dopo, o poco più, in mostra finirono le immagini degli aiuti “Erp”, il frutto del “Piano Marshall” che arrivava a soccorrere l’Italia stremata dalla guerra. Era la prima mostra dopo la ricostruzione della Basilica, bombardata e incendiata dagli alleati il 18 maggio 1945. Da allora gli appuntamenti si sono moltiplicati, come la vivacità di Vicenza che stava diventando una protagonista dell’economia. Nel 1956 si allestì la mostra dei quadri di Francesco Maffei; dieci anni dopo, su invito della Marzotto, Mina tenne in Basilica un concerto indimenticabile. Erano gli anni in cui nel Salone si giocava a basket (sembra incredibile a pensarci oggi) e le ragazze della Portorico Caffè conquistarono due scudetti all’ombra di Palladio. Anche gli studenti conquistarono quello spazio per una festa: era il carnevale del 1969.

(Il Giornale di Vicenza, 12 dicembre 2013)