Le danzatrici di Canova

01.04.2012

[Antiquariato, mensile di arte antica, arti decorative, cultura, collezionismo]

Gessi , gouache e dipinti testimoniano la passione del maestro veneto per la danza.
Alla Gipsoteca di Possagno, fino al 30 settembre.

di DavideVenuti

Antonio Canova (1757-1822), emblema già in vita del revival neoclassico, seppe riportare a nuova vita gli ideali di bellezza della scultura greca, che aveva ammirato in giro per l’Europa. A Parigi, nel 1815, dove aveva negoziato su incarico di PioVII la restituzione delle opere d’arte antica trafugate da Napoleone. E a Londra, dove aveva visto i fregi del Partenone appena giunti da Atene con lord Elgin. Più che tappe di un Grand Tour, questi viaggi esprimevano il bisogno viscerale di Canova di dialogare con l’antico, fonte di ispirazione per le sue sculture, vive e palpitanti: «Un’arte che diventa carne», scriveva nei suoi taccuini di viaggio, «perché sono sempre stati gli uomini composti di carne flessibile e non di bronzo». Con oltre cinquanta opere, tra grafiche, sculture, disegni e dipinti, la rassegna "Canova e la danza" alla Gipsoteca di Possagno ribadisce la poetica di una bellezza assoluta e carnale, capace di sfidare il peso della pietra per cimentarsi col motivo della figura umana che danza. La mostra riscatta così l’artista da una certa critica d’arte novecentesca, che, in nome della sacralità dell’impulso artistico, lo ha spesso sprezzato come l’epigone di un Rococò "grazioso" e ormai raggelato.

Le opere. Il museo, per l’occasione, ha ricomposto la celebre "Danzatrice con i cembali", il cui modello in gesso venne danneggiato a Possagno durante la Grande Guerra (una granata ne polverizzò le braccia). Oggi, grazie a un innovativo sistema che ha permesso di scansionare in 3D la versione in marmo del Bode Museum di Berlino (inamovibile a causa di una seria fessurazione), è stato possibile ricostruire parte delle braccia, delle mani e dei cembali della danzatrice. «Un intervento, che potremmo definire filologico e non restaurativo», afferma Mario Guderzo, direttore della Gipsoteca.

Questo gesso "reinventato" è certamente un esempio eccezionale del "vero volto della bellezza", di sapore protoromantico, così come le altre due ballerine in mostra, la "Danzatrice col dito al mento" e "La danzatrice con le mani ai fianchi", la cui versione in marmo – oggi all’Ermitage di SanPietroburgo – venne commissionata da Josephine Beauharnais (1763-1814), prima moglie di Napoleone. Sono, queste danzatrici, capolavori di un vitalismo che sconfessa l’accusa di "raggelamento del corpo umano" rivolta a Canova per la levigazione estrema cui sottoponeva il marmo. Il critico d’arte Roberto Longhi (1890-1970) definiva infatti Canova «uno scultore nato morto». Sappiamo, in realtà, che l’artista lavorava le sue sculture al lume di candela per dotarle di quelle ombreggiature calde e "di carne", tipiche del più corporeo luminismo veneto.

La passione per la danza trova ampio riscontro nella vita dello scultore di Possagno: il suo biografo più fedele, Leopoldo Cicognara, ricorda come l’artista amasse il coreodramma, una forma di balletto dove la coralità aveva il predominio sugli assoli e i pas des deux, e come fosse amico del ballerino e coreografo Carlo Blasis, maestro alla Scala di Milano e autore di una sorta di enciclopedia della danza. Canova ritraeva il corpo femminile come incarnazione di una bellezza eterna che raggiunge il suo apice nel movimento della danza.

Il critico d’arte e letteratura Mario Praz (1896-1982), suo grande estimatore, rileggeva l’indolenza erotica del Canova, attestata dalle biografie, in quella sensazione di "adorazione a distanza" del corpo femminile che le sue sculture in effetti ci trasmettono.

DOVE & QUANDO

"Canova e la danza", Museo e Gipsoteca Antonio Canova, Possagno (Treviso);
tel. 0423-544323.

Catalogo: Terra Ferma Edizioni.

Fino al 30 settembre.